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A tutto rock con i Lip Colour Revolution!


Intervista ai Lip Colour Revolution

Intervista ai Lip Colour Revolution: il 25 gennaio live al Lenigrad Cafè

Il 25 gennaio il Lenigrad Cafè ospita il concerto dei Lip Colour Revolution, quartetto rock originario di Livorno che si è fatto già conoscere grazie a concerti (tra i quali quello allo Sziget Festival in Ungheria), e alla già nutrita discografia composta dall’album di esordio “Lip Colour Revolution” (2008) e dai due EP, l’acustico “Dusty Days” (2010) e l’elettrico “Mad Dogs” (2011). Il concerto pisano al Lenigrad è l’occasione per fare il punto della situazione con la band. Ecco quello che Filippo Infante (voce e tastiere) e Leonardo Nesi (batteria) hanno raccontato a LaKinzica.

 

Partiamo dall’inizio: quando nascono i Lip Colour Revolution e perché avete scelto di adottare un nome così curioso? C’è qualche aneddoto legato alla scelta di un nome così curioso?
«I Lip Colour nascono nel 2003. Dopo una serie di cambiamenti di formazione, il gruppo è ora composto da noi due (Filippo Infante e Leonardo Nesi rispettivamente voce e batteria NDR) Gianni Niccolai (basso) e Cristiano Sbolci Tortoli (chitarra). Il nome viene da una canzone di una band nordica che con il nostro genere non ha niente a che vedere: suonano musica lenta e rilassante. Ci piaceva il titolo della loro canzone e lo abbiamo utilizzato

Nel 2008 avete pubblicato il vostro primo e omonimo album: un concentrato di rock che ricorda il grunge di Seattle (Nirvana, i Pearl Jam più “cattivi” e i primissimi Soundgarden) lo stoner più tirato (più Queens of the Stone Age che Kyuss) e il rock dei 70s (mi vengono in mente l’irriverenza dei Kiss e dei Kinks e la carica dei Clash). Riff tirati, voce arrabbiata il giusto, pezzi dal forte “groove”, cori melodici: una bella prova, che se fosse stata realizzata da una band straniera avrebbe ottenuto anche maggiori elogi. Siete soddisfatti del risultato ottenuto?
«Diciamo di si. Non ci aspettavamo molto: il disco è stato del tutto auto prodotto e non avevamo né un’etichetta né un’agenzia che si occupasse di noi. È dura star dietro da soli a tutte le fasi di promozione. Le date sono state poche ma le recensioni tante e il disco ci ha permesso di farci conoscere agli organizzatori dello Sziget Festival in Ungheria. Grazie alla nostra performance durante le eliminatorie, siamo stati scelti come una delle band che al festival hanno rappresentato l’Italia. È stata un’esperienza meravigliosa trascorsa tra amici, musica e musicisti.»

Ho letto che avete masterizzato l’album a Seattle da Martin Feveyear (che ha lavorato tra gli altri con Queens of the Stone Age, Mudhoney, Mark Lanagan) Come lo avete contattato? Siete andati anche voi a Seattle?
«No purtroppo non siamo riusciti ad andare a Seattle anche se sarebbe stata un’esperienza bellissima. Seattle è stata a lungo la nostra “Mecca musicale”, il punto di riferimento. Abbiamo ascoltato allo sfinimento Nirvana, Alice in Chains, Mudhoney e le altre band grunge. Crescendo poi i gusti sono cambiati e adesso stiamo seguendo un percorso differente, cercando di non essere più classificati in un determinato genere. Certo, la scena musicale di quel periodo ce la porteremo sempre dentro, ma non vogliamo emularla. Martin è stato davvero importante per la riuscita del disco. Lo ha coinvolto Gianni contattandolo via e-mail.»

Per parte della critica il fatto che il vostro rock abbia come riferimento il grunge/stoner è stato incomprensibilmente considerato un limite di per sé, in quanto si tratterebbe di un genere oggi poco in voga e oramai “datato”: insomma parrebbe che solo chi suona indie-noise rock (scopiazzando Sonic Youth, Helmet e Dinosaur Jr.) sia considerato “trendy” e suoni musica “attuale”. Qual è il vostro parere in merito e voi come definireste la vostra musica?

«Il discorso è complesso. Fare indie rock per accattivarsi il pubblico ed essere etichettati come “trendy” è stupido. È di per sé una scelta persa in partenza. Un musicista dovrebbe pensare a fare qualcosa che gli piace e che possa piacere anche a chi ascolta. Ci sono tanti gruppi che seguono “onde” effimere e che poi, col tempo, non a caso, si perdono. Anche chi fa pop o chi scrive qualcosa di catalogabile come easy-listening, genere di tutto rispetto, dovrebbe farlo per puro piacere. So benissimo che nella storia della musica ci sono sempre stati generi che tirano di più e altri meno, ma non per questo dobbiamo catalogarli come “meglio” o “peggio”. Non siamo “trendy”. Siamo consapevoli che il nostro genere possa non piacere a molti: non è radiofonico, ma noi non siamo un gruppo “datato” o rimasto esclusivamente legato al grunge. Ci stiamo evolvendo in qualcosa che neanche noi sappiamo cosa sia e questo dimostra che quando hai delle idee e voglia di scrivere, i confini dei generi non contano. Cerchiamo di fare buona musica, a definire il genere che proponiamo ci penserà chi ascolta.»

La formazione dal primo omonimo album ad oggi è cambiata: Lascialfari e Salvadori hanno ceduto il passo a Tortoli Sbolci e Niccolai. Quali sono state le ragioni di questo avvicendamento?
«Le ragioni sono molteplici. Diversi interessi, impegni vari e qualche diverbio, hanno portato a quest’ultimo cambio di formazione. C’è chi ha lasciato, chi è stato lasciato, ma per fortuna, credo che con questa formazione abbiamo raggiunto una maturità espressiva e individuale e un equilibrio che un tempo non avevamo. Col tempo si cresce, si cambia e talvolta si commette qualche sbaglio. Adesso le cose sono diverse. Siamo soddisfatti.»

Al grunge e allo stoner appartengono anche quelli che sono o sono stati i vostri idoli musicali?
«Si, sono molti oltre a Kurt Cobain a Josh Homme. Le sonorità del primo disco e, in parte, anche quelle dell’Ep “Mad dogs” sono apertamente ispirate a loro. Oggi però la nostra scrittura musicale è ben diversa anche a causa della nuova formazione. In fin dei conti è anche normale: grunge e stoner sono i generi che ci hanno formato. Siamo cresciuti così. Il nostro obiettivo futuro è quello di non essere più etichettati come “quelli che fanno stoner”. Lo abbiamo ascoltato, lo ascoltiamo, ma stiamo cercando di prendere e di conoscere strade diverse.»

Dopo l’album Lip Colour Revolution avete pubblicato due EP, quando avete in mente di realizzare un nuovo full-lenght? Quali sono i programmi futuri dei Lip Colour Revolution?
«Beh, ovviamente la voglia di far sentire qualcosa di nuovo ci sprona a registrare subito un nuovo full-length. Stiamo per registrarlo e pensavamo di farlo uscire alla fine dell’anno. Ancora non ha un titolo e le canzoni non sono state ancora completate. Per ora ci godiamo “Mad dogs” e proseguiamo a scrivere e a registrare pezzi nuovi. Il futuro che ci aspetta? Speriamo sia roseo.»

Lip Colour Revolution – 25 gennaio (22:30) Lenigrad Cafè (via Silvestri 5 Pisa)

Il concerto è a offerta libera.

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