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A Toys Orchestra Live!


di Lorenzo Cavalca

A Toys Orchestra

A Toys Orchestra

Il 7 luglio al Parco della Cittadella suonano, nell’ambito dell’Arci Fest, gli A Toys Orchestra, gruppo rock salernitano dal respiro internazionale (per sonorità e attività “live”) composto da Ilaria D’Angelis (voce, chitarra e piano), Raffaele Benevento (basso), Andrea Perillo (batteria) e dal motore del gruppo Enzo Moretto (voce e chitarra) che ha risposto alle domande de LaKinzica.  La data dell’Arci Fest si inserisce nel tour di supporto all’EP “Rita Lin Songs” pubblicato a maggio 2011: è da considerarsi come un anticipo delle sonorità del prossimo album o un episodio a parte?
«L’EP è da considerarsi come un regalo ai nostri sostenitori, alle persone che da anni ci hanno sempre appoggiato e incitato. Insomma vuole rappresentare una forma di riconoscenza verso chi ha alimentato la nostra fiamma ed è per lo più dedicato allo zoccolo duro del nostro pubblico. Ciò non toglie che qualora l’EP abbia attirato nuovi fan, ne siamo lietissimi. Ogni nostro lavoro è comunque un episodio a sé stante. Direi che “Rita Lin Songs” è una sorta di ponte tra il disco precedente (“Midnight Talks”) e il prossimo, senza però anticipare sonorità, melodie o qualsiasi altra cosa: nell’EP solo tre brani su sei sono inediti. È il trait d’union tra il vecchio e il nuovo, semplicemente per un motivo cronologico».

Su “Rita Lin Songs” figurano due brani “strani”: la cover di “Chauffer” dei Duran Duran e la canzone in italiano “Celentano”: quali sono le ragioni dell’inserimento di queste tracce? Avete voluto dare un tributo alla band di Simon Le Bond? Quello delle liriche in italiano è un esperimento estemporaneo o nel futuro intendete abbinare alle canzoni in inglese anche brani nell’idioma italico?
«Più che ai Duran Duran, abbiamo voluto rendere omaggio a quella che è una canzone stupenda. D’altronde rapportarci a quel brano, relativamente distante dal nostro stile, è stato oltremodo stimolante e perfettamente in accordo con lo spirito dell’EP: quello stesso spirito che tra il serio e il faceto, tra il gioco e la sperimentazione, ci ha spinti a tentare la carta dell’italiano nel brano “Celentano”. È un pezzo che sin dal titolo sembrava invitare a questo tipo di prova.  Al momento resta un esperimento isolato, in futuro chissà…».

Come nasce un brano degli A Toys Orchestra? Seguite un canovaccio o il percorso creativo, dall’ispirazione alla registrazione, segue sempre regole diverse?
«Sono io che scrivo le canzoni e “porto” i brani in sala prove: possono essere in forma embrionale o in una più evoluta. Poi tutti insieme le montiamo, le smontiamo, le modifichiamo fino al momento di “partorirle” in sala di registrazione. Insomma se io sono il motore di questa macchina, senza le ruote non andrei da nessuna parte… o quantomeno questa macchina non sarebbe gli A Toys Orchestra».

“Techinicolor Dreams” è il disco che vi ha lanciato e “Midnight Talks” quello della consacrazione. Sono però due dischi piuttosto diversi: a mio giudizio il primo è più diretto, sfoggia contaminazioni elettroniche e rimandi al pop-rock di classe (stile Eels/Coldplay guardando all’oggi o Flaming Lips/Xtc per il passato), il secondo è più complesso e trasmette echi di psichedelia (Pink Floyd era Barrett su tutto), influenze del rock anni ’70 e ’60 (su due piedi mi vengono in mente Queen, Kinks e Beatles) e sonorità cantautorali nella accezione più “prog” del termine. Sono le due facce degli A Toys Orchestra o il semplice risultato delle vostre influenze e della vostra evoluzione?
«Un po’ tutt’e due le cose. Ognuno dei nomi che hai citato ha “consumato” le nostre orecchie. Fortunatamente però non ci siamo mai limitati a riproporre una svilente copia in carta carbone. Abbiamo assimilato la materia prima per poi ritrasformarla. È un po’ come fare il pane: gli ingredienti sono gli stessi (farina, sale lievito e acqua) ma dosandoli, lavorando la pasta, e infornandola alla fine ogni pane è diverso dall’altro».

Molta stampa vi ha “etichettato come la indie-rock band italiana per eccellenza? Vi piace e siete d’accordo con questa definizione? Quanto vi ci ritrovate e soprattutto che cosa significa essere “indie” oggi in Italia?
«Siamo “indie” in quanto indipendenti. Non riconosco altro significato in questo termine e mal sopporto le accezioni che gli si vorrebbero affibbiare. Non mi piacciono le catalogazioni e tanto più le forzature. È un termine nobile che sin dalla sua etimologia schiva le classificazioni e gli inquadramenti.  Non ho ben capito cosa voglia significare essere “indie” in Italia… da una parte mi fa immaginare nerds smilzi in love story con i loro macbook, dall’altra persone che si sbattono per contrapporsi alle porcherie del mainstream più bieco, cercando di profondere qualità e passione e soprattutto meritocrazia in un mondo infettato da ben altri valori. Poter rappresentare questa seconda categoria non può che essere una gran gratificazione».

Siete una live band per eccellenza: avete suonato centinaia di date in Italia e all’estero. In Rete fioccano elogi e commenti sulla carica e passione che riversate sul palco. State pensando a un CD live o a un DVD per immortalare le vostre performance dal vivo e catturare la vostra dimensione Live?
«Stiamo lavorando a un DVD che probabilmente sarà pubblicato in contemporanea con il prossimo disco. Oltre a stralci live, ci saranno interviste e racconti biografici ricchi di aneddoti curiosi e bizzarrie varie. Nella realizzazione del DVD siamo molto attenti a onn cadere nell’autocelebrativo… I CD-Live invece non mi sono mai piaciuti, né da ascoltatore né oggi da musicista. Mi sembra una missione impossibile riuscire contenere in un dischetto l’energia che sprigioniamo durante un esperienza dal vivo. Tra l’altro il CD-live fa tanto “vecchia gloria” e noi siamo ancora giovincelli».

Il tuo background musicale: quali sono gli artisti che ti hanno influenzato e quali le band che ti piacevano quando eri un fan?
«Sono un ascoltatore onnivoro e potrei stare tutto il giorno a parlare dei miei dischi preferiti. Mi limito a dire che, avendo vissuto l’adolescenza negli anni novanta, come molti miei coetanei ero un fan della scena di Seattle, con tanto di capelli tinti, magliette strappate e sguardo eterno-depresso».

Quali sono la band che segui attualmente?
«Da quando faccio il musicista come primo lavoro non riesco più a dedicarmi come un tempo agli ascolti approfonditi e in realtà anche nel tempo libero sono attratto da altri interessi. Insomma, non credo che l’ammaestratore di leoni, vada allo zoo nei momenti di pausa. Rispetto alle grandi “abbuffate” del passato oggi faccio ascolti più mirati, mi lascio ingolosire, ma sono molto più schizzinoso. Di recente ho acquistato “roba” di MGMT, Arcade Fire, Man Man… artisti nuovi ma non nuovissimi. Ah, anche i “Criminal Jokers” “girano” spesso nel mio lettore».

Il mercato della musica non attraversa certo una fase felicissima. Che consigli daresti a una band o a un artista che desidera intraprendere una carriera “rock”: quali sono le cose da non fare e a tuo giudizio quelle che si dovrebbero fare?
«Puntare tutto sul proprio lato irrazionale ed evitare qualsiasi forma di elucubrazione mentale».

Quali sono i “piani” futuri degli A Toys Orchestra?
«Pensare all’oggi, con un occhio a ieri e uno a domani».

Gli A Toys Orchestrano suonano il 7 luglio (ore 21:30 ingresso gratuito) al Parco della Cittadella nell’ambito dell’Arci Fest. Un concerto da non perdere!

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