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Il maestro della sei corde


di Lorenzo Cavalca
[interview – english version]

Andy Timmons

Andy Timmons

In occasione del concerto della Andy Timmons Band (ATB) al Borderline il 28 ottobre, La Kinzica ha scambiato quattro chiacchiere con il grandissimo chitarrista rock di origine texana che tra una battuta e l’altra ha raccontato della sua passione per i Beatles, del suo amore per l’Italia e  ha condiviso qualche retroscena del periodo passato nei Danger Danger. Oltre che un grande musicista Andy si è rivelato essere un vero “gentleman”: una persona alla mano, disponibile, affabile e priva della presupponenza di molte presunte rockstar. Leggere per credere.

Andy sei nel bel mezzo di un lungo tour italiano (13 date tra concerti e seminari), e non è la prima volta che visiti l’Italia: che cosa ti piace del nostro Paese?
«La gente, il cibo, la cultura, la storia, i monumenti… mi piace tutto dell’Italia. Seriamente apprezzo moltissimo l’accoglienza che il pubblico italiano riserva a me e alla mia band. Spero sempre di visitare il vostro paese il più spesso possibile.»

Chi sono i musicisti che ti accompagnano in questo tour e quali canzoni presenterai al concerto del Borderline?
«Al basso c’è Mike Daane. Suoniamo insieme oramai da 22 anni. È un bassista straordinario che sa alla perfezione come accompagnare il mio lavoro alla chitarra. Alla batteria c’è Rob Avsharian che ha già completato due tour con noi. Non abbiamo ancora registrato niente insieme ma credo che lo faremo molto presto… Durante queste date stiamo suonando brani vecchi e nuovi, classici come “Electric Gypsy” e “Cry For You” e ovviamente anche gli estratti del nostro ultimo CD “Andy Timmons Band Plays Sgt. Pepper”.»

L’ultimo album della Andy Timmons Band è “Resolution” uscito nel 2006. Ho letto che hai appunto registrato un album di cover dei Beatles. Puoi raccontarci qualcosa di questo disco e informare i lettori de La Kinzica su quando il CD sarà pubblicato?
«Guarda l’album è stato pubblicato ieri (il 24 aprile). L’idea del CD è nata con il medley “Sgt. Pepper/Strawberry Fields Forever” che abbiamo cominciato a proporre alla fine di ogni concerto ottenendo una grande risposta da parte del pubblico. Quando eravamo in tour proprio in Italia il promoter, e mio buon amico, Riccardo Cappelli mi ha detto “Ehi ma perché la prossima volta non proponete un intero set di canzoni dei Beatles”. La mia risposta iniziale è stata “assolutamente no: come facciamo a suonare i pezzi strumentali dei Beatles e renderli interessanti per il pubblico?”»

Poi cosa è successo?
«Beh l’idea ha cominciato a incuriosirmi e ho iniziato a pensare, ma se facessi “Lucy in the Sky with diamonds” come dovrebbe suonare? Così ho iniziato a provare una serie di canzoni dei Beatles. Prima che ne avessi la consapevolezza, stavo lavorando solo sui pezzi di Sgt. Pepper. Poi ho cominciato a occuparmi degli arrangiamenti: ci sono voluti due anni per finirli. Avevo “finito” i brani ma non pensavo di farci un disco, anche se non avevo scartato questa idea. Sono poi andato in studio con la band per registrare un po’ di roba nuova. Alla fine del secondo giorno di registrazione il nostro engineer, Rob Wechsler, ci ha comunicato che avevamo finito ma che avevamo lo studio disponibile ancora per 48 ore. Il nostro batterista Mirch Marin mi ha chiesto “ma perché non registriamo quelle canzoni dei Beatles alle quali stavi lavorando?” Così nei due giorni successivi abbiamo registranto tutto “Andy Timmons Band Plays Sgt. Pepper”. Mitch e Mike Daane (il bassista) non avevano mai sentito gli arrangiamenti. È stato fantastico vedere come Mitch li ha fatti subito propri: è un grande, ha intuito immediatamente come suonare e ha compreso facilmente il feeling del drumming di Ringo Starr aggiungendo alle canzoni anche un tocco pesonale.  A Mike è toccato il compito più difficile: imparare le fantastiche parti di basso di McCartney, adattarle ai miei arrangiamenti e alla potenza musicale del nostro Trio. Anche in questo caso i risultati sono stati straordinari.»

Riguardo al tuo metodo di composizione: entri in studio con le idee già chiare o segui un processo più naturale che segue le session eseguite in studio? E che tipo di approccio adotti per ideare gli assoli?
«Per la composizione entrambe le cose. In genere so esattamente come deve essere una canzone o un arrangiamento. In studio poi capita che le canzoni che ho scritto vengono ri-arrangiate dalla band o che vengano addirittura profondamente modificate e riscritte insieme agli altri membri del gruppo durante session e prove varie. Per gli assoli, beh tutto parte dall’improvvisazione. Qualche volta mi piace quello che ho registrato, talvolta no, varie volte studio e analizzo quello che ho improvvisato e rifaccio le parti che non mi piacciono.»

Andando indietro nel tempo, hai esordito nel mercato discografico con i Danger Danger, una delle più importanti sleaze-rock band americane (il primo e omonimo album del 1989 ha venduto un milione di copie negli Stati Uniti, NDR). Il gruppo si è sciolto nel 1993 durante le registrazione del terzo album “Cockroach”: che cosa non ha funzionato e perché poi non sei stato coinvolto nelle riunion della band che si sono succedute dal 1995 ad oggi?
«Fondamentalmente il gruppo si è sciolto quanto la Epic Records (la nostra etichetta) ha deciso di non “fare uscire” Cockroach e ha reso complicatissimo per la band l’ottenimento dei diritti di pubblicazione dell’album. Ted (Poley il cantante) aveva già lasciato il gruppo intentando cause legali contro la band e la casa discografica. A quel punto ho deciso di ritornare in Texas e di occuparmi di nuovo delle cose che avevo abbandonato per unirmi alla band: ho finito il mio primo album “Ear X-tacy” e ho lavorato come session-man. Non so perché non sono mai stato invitato a partecipare alle reunion dei Danger Danger. Un paio di anni fa ho suonato insieme a Ted in un concerto in Brasile. Questa è anche l’unica volta che l’ho rivisto da quando ha lasciato i Danger Danger, ma è stato un concerto bellissimo.»

Sei sempre in contatto con gli altri membri dei Danger Danger e che ricordi hai del periodo trascorso con la band?
«Oh sì parlo con Bruno (Ravel, tastierista) e Steve (West batterista) regolarmente. Ho dei bei ricordi del tempo passato con i Danger Danger e onestamente ne ho anche di non tanto  belli…Considero quei giorni come il mio periodo di educazione al music-business. Grazie a quelle esperienze ho scoperto una parte di me che non conoscevo.»

Le vostre esecuzioni live sono impressionanti per il feeling che riuscite a trasmettere al pubblico e per la potenza delle esecuzioni. Credi che i tuoi album riescano a catturare l’energia che sprigionate sul palco? Ti piace di più esibirti dal vivo o comporre e registrare album in studio?
«Il bello di registrare gli album è che lo facciamo senza sovraincisioni: solo chitarra, basso e batteria. Questo significa che il nostro sound è sempre lo stesso sia che tu ascolti un nostro CD sia che tu sia a un nostro concerto. Il bello di suonare dal vivo è che l’iterazione con il pubblico e l’energia che sprigioniamo  sono ogni volta diverse: interagendo tra noi, le canzoni assumono arrangiamenti diversi in modo estremamente naturale e spontaneo. Insomma mi piacciono entrambe le cose sia i concerti sia il lavoro in studio, soprattutto quello degli ultimi due album dei quali sono estremamente soddisfatto.»

Hai detto che nel passato hai lavorato come session-man (per Kip Winger, Paul Stanley dei Kiss, Olivia Newton-John NDR). Hai svolto questa attività anche recentemente?
«Sì, ma fortunatamente sono molto impegnato con la mia carriera solista e ho meno tempo a disposizione per suonare per altri artisti. Mi piace comunque un sacco lavorare come session-man. Lavorerei sicuramente per Paul McCartney se mi desse un colpo di telefono…posso sognare no? Ah ah ah!»

C’è qualche artista del passato o del presente con il quale ti sarebbe piaciuto collaborare o con il quale vorresti lavorare?
«Ce ne sono un sacco! Paul McCartney naturalmente  e Ringo Starr (spero si sia capito che sono un fan dei Beatles), Brian Wilson, Steve Lukather, Jeff Beck, Pat Metheny, Larry Carlton, Mike Stern, Robben Ford ed Eric Johnson. Riguardo quelli del passato mi sarebbe piaciuto lavorare con Brian Wilson, John Lennon, George Harrison, Wes Montgomery, Cannonball Adderly, Charlie Parker, Jimi Hendrix, Bobby Graham, Jeff Porcaro…continuerei la lista è lunga.»

Quali sono i tuoi guitar-hero preferiti, i tuoi idoli musicali?
«Quelli che ho citato prima ai quali aggiungerei  Ace Frehley, Ted Nugent, Alex Lifeson, Joe Satriani, Steve Vai, Eddie Van Halen, Stevie Ray Vaughan, Jimi Hendrix, Eric Johnson, e Tommy Emmanuel.»

Che cosa avresti fatto se non fossi diventato un chitarrista e cosa c’è nel futuro artistico di Andy Timmons e della ATB?
«Non ne ho la più pallida idea. Credo comunque di non aver avuto opzioni: dovevo diventare un chitarrista! Per quanto riguarda la Andy Timmons Band abbiamo 14 canzoni pronte, già registrate, e molte altre da incidere. I prossimi due anni saranno per noi pieni e impegnativi. Ci vediamo al Borderline!»

Andy Timmons Band – 28 ottobre (ore 22:30) Borderline Club (via Vernaccini 7 Pisa)

Biglietto 22 euro

Per informazioni
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